martedì 25 ottobre 2016

I vini di Vignamaggio all'Enopanetteria




L'azienda vitivinicola

 

Tra Firenze e Siena, adagiata sulle colline dove nasce e si dirama il fiume Greve, l'azienda agricola Vignamaggio da ben sei secoli produce vino nel cuore del territorio del Chianti Classico.

 

La fattoria si estende nel comune di Greve in Chianti per oltre 250 ettari, dei quali circa 62 sono adibiti a vigneto. Il vitigno principalmente coltivato è il Sangiovese, che occupa gran parte della superficie vitata, seguito da Merlot, Syrah, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Malvasia Bianca e Trebbiano.

 

Nel 2014 Vignamaggio ha iniziato un programma di conversione al biologico, adottando sistemi di agricoltura a basso impatto ambientale con l'obiettivo di tutelare il territorio, le piante e, di conseguenza, la salute delle persone.

 

L'antica villa e la leggenda della Gioconda

 

Fulcro dell'azienda è un'antica villa immersa tra ulivi e cipressi, circondata da giardini all'italiana e costruita verso la fine del XIV secolo dalla famiglia Gherardini; la leggenda vuole che in tale luogo sia nata Monna Lisa Gherardini, il cui celeberrimo ritratto, commissionato dal marito Francesco del Giocondo a Leonardo da Vinci nei primi anni del XVI secolo, è custodito tra le mura del Louvre.

 

L'evento

 

Occasione per degustare i vini prodotti da quest'azienda è stata la serata organizzata dall'AIS Napoli, il 21 Ottobre a Melito di Napoli presso l'Enopanetteria "I Sapori della Tradizione", che ha visto protagonista il Chianti Classico Riserva di Monna Lisa (ben cinque annate, dalla 2006 alla 2015) ed il Cabernet Franc (tre annate, 2009, 2010 e 2014): Due verticali, dunque, di due vini completamente differenti.

 

Il Chianti Classico e la leggenda del Gallo Nero

 

Il Chianti Classico Riserva di Monnalisa, ottenuto per l'85% da uve Sangiovese e per il restante 15% da uve Merlot e Cabernet Sauvignon, fermenta sulle bucce per 16-18 giorni e matura, poi, per 18-20 mesi in parte in barrique di rovere francese ed in parte in botti più grandi.

 

Sul collo delle bottiglie è presente una fascetta con il "Gallo Nero": in passato simbolo dell'antica "Lega del Chianti", oggi marchio del Consorzio del Vino Chianti Classico.

 

Ma quali sono le origini di questo curioso simbolo?

Per rispondere a questa domanda occorre fare un piccolo salto indietro nella storia, al tempo in cui vi era una rivalità tra le città di Firenze e Siena.

Siamo in epoca medievale e la leggenda vuole che le due potenti repubbliche toscane, con l'intento di porre fine alle guerre per ridisegnare i confini del loro territorio, decisero di affidare la contesa ad una gara di velocità tra due cavalieri, che sarebbero partiti dalle rispettive città al primo canto del gallo: il loro punto di incontro sarebbe stato il nuovo confine territoriale.

I fiorentini giocarono d'astuzia scegliendo un galletto nero che, tenuto a digiuno, cantò ben prima dell'alba, consentendo così al loro cavaliere di partire prima e percorre di conseguenza più strada rispetto all'altro contendente; fu così che buona parte della zona del Chianti passò sotto il controllo della repubblica fiorentina ed il gallo nero divenne il simbolo della "Lega del Chianti".

 

Bando ora alle ciance e parliamo delle varie annate degustate di questo bel vino dedicato alla Monna Lisa... Ecco di seguito alcune mie note:

 

2006

Nonostante i suoi dieci anni, al naso esprime ancora sentori di frutta rossa matura, ciliegia in particolare, cui seguono note di erbe essiccate, tabacco ed, infine, sfumature di liquirizia su un lieve sottofondo balsamico; strutturato al gusto, presenta un attacco acido-tannico piuttosto pronunciato che sconfina in un finale leggermente amarognolo.

 

2010

Si presenta elegante al naso, con sentori di frutta rossa, note floreali e di spezie dolci, cui seguono sfumature di tabacco; di buona freschezza al gusto e dai tannini vellutati.

 

2011

Il naso, più scuro rispetto ai due vini precedenti, è disegnato da sentori di frutti di bosco e spezie cui seguono cenni di erbe essiccate; al gusto la trama tannica è ben presente ma non irruente.

 

2012

Si insinuano nel naso sentori di pelliccia e terra umida, che lasciano man mano il passo a sentori di frutta rossa e note balsamiche; mostra tannini vellutati al gusto ed una sensazione pseudocalorica piuttosto decisa.

 

2015

Si tratta di un campione di botte che non ha ancora concluso la sua maturazione, ma si tratta anche di un vero "campione": ha, infatti, convinto tutti con i suoi freschi sentori fruttati e floreali, con il suo gusto ricco di estratti ed equilibrato (nonostante la giovane età), lasciando così presagire un futuro sfavillante!

 

Sono, dunque, vini di carattere e di buona struttura... vini gastronomici, che richiamano il cibo a tavola e che si abbinano felicemente a primi piatti con ragù e a carni rosse, nonché a selvaggina e formaggi stagionati.

 

Il "Cabernet Franc", il Supertuscan di Vignamaggio

 

Abbiamo proseguito, quindi, la serata con una verticale di un vino ottenuto da uve Cabernet Franc, provenienti da viti di oltre quarant'anni. Può sembrare qualcosa di un po' insolito, ma dobbiamo ricordarci di essere in Toscana... ed in questa regione le cosiddette "uve internazionali" sono presenti nei vigneti già da qualche secolo! Importate nel '700 dalla Francia, queste uve entrano attualmente a far parte di più denominazioni toscane in assemblaggio con altre uve locali (il Sangiovese in primis, come abbiamo appunto visto nel caso del Chianti Classico).

 

Inoltre, alla fine degli anni '60, alcuni produttori toscani decisero di ottenere vini senza seguire i disciplinari di produzione, ritenuti obsoleti e incapaci di far esprimere a pieno le potenzialità del territorio; questi produttori, che disponevano di ingenti capitali per avviare nuove sperimentazioni, operarono in vigna bassissime rese per ettaro, adottarono botti piccole per la maturazione del vino (anziché quelle grandi tradizionali) e utilizzarono vitigni non ammessi dai disciplinari ma che, secondo loro, potevano dare buoni risultati. Presero vita così i celeberrimi "Tignanello" di Piero Antinori e "Sassicaia" del marchese Incisa della Rocchetta; negli anni '70 il successo di questi vini fu tale che la stampa anglosassone e americana li definì "supertuscans" e, successivamente, grazie ad una serie di fortunate vendemmie negli anni '80 divennero famosi nel mondo.

 

Nel 1990 anche Vignamaggio decide di sperimentare questa strada, vinificando separatamente le uve di Cabernet Franc con l'intento di farne il vino di punta. Scrupoloso il lavoro operato da Francesco Naldi... bassissime sono, infatti, le produzioni per pianta; in cantina la fermentazione sulle bucce avviene per 17-18 giorni a temperatura controllata ed il vino viene lasciato poi maturare in barrique di rovere francese per 18-24 mesi.

Il risultato è stato da noi testato con la degustazione di tre annate (2009, 2010 e 2014):

 

2009

Note erbacee emergono dal bicchiere su un fondo di sentori di prugna, mirtilli e accenti fumé; si presenta abbastanza rotondo al gusto con una nota alcolica a smorzare la durezza della trama tannica e una buona freschezza a far progredire il sorso.

 

2010

Naso abbastanza complesso, delineato da sentori di frutti di bosco, note di tabacco, sfumature di foglia di peperone e piante rampicanti; pieno all'assaggio, mostra una grande struttura sostenuta da una spessa trama tannica, presentando comunque nel complesso una buona scorrevolezza. 

 

2014

Note balsamiche e sentori di kirsch dominano lo spettro olfattivo; al palato i tannini appaiono vellutati ed una piacevole sensazione di consistenza gustativa accarezza la lingua.

 

Si tratta di vini molto corposi e complessi, che richiedono a tavola piatti strutturati e dai sapori intensi.

 

 

Via Petriolo 5 - 50022 Greve in Chianti (FI)
tel. 055854661
email: prodotti@vignamaggio.com




Articolo pubblicato anche su Cibiamonapoli.it





sabato 15 ottobre 2016

Dalla Gentile di Larino… un olio divino!


Enopanetteria “I Sapori della Tradizione” – Venerdì 14 Ottobre 2016



Piacevole e gustosa serata in compagnia degli Enodegustatori Campani, che ha visto protagonista l’olio extra vergine di oliva DOP Molise dell’Azienda Agricola “Le grotte di tufo” di Mariagrazia Giardino.



Si tratta di un olio davvero buonissimo che nasce nel territorio del comune di Larino, città  ricca di storia e tradizioni… fondata ben cinque secoli prima di Roma, l’antica “Frenter” (era questo il suo nome etrusco) fu poi distrutta e ricostruita in età repubblicana con il nome di “Ladinod” (che significa dimora); il nome attuale “Larino” (dal latino “Larinum”), deriva secondo alcuni da successive corruzioni linguistiche, secondo altri dal fatto che gli antichi Romani volevano indicare con quel nome il luogo dove i Frentani ebbero i loro Lari.

Foto presa dal web


Ad ogni modo, Larino è stata una città importante sin dall’antichità, come testimoniato dai resti dell’anfiteatro romano e dai bellissimi mosaici ritrovati; anche in età medievale ricoprì, poi, un ruolo di rilievo… sotto il dominio dei Longobardi, fu infatti a capo di una delle 34 contee in cui era suddiviso il Ducato di Benevento.

Foto presa dal web


Consacrato nel 1319 è il Duomo, dedicato a San Pardo, il Santo Patrono della città in cui onore è svolta ogni anno, verso la fine di maggio, una folcloristica festa, considerata tra le più belle d’Italia.

Foto presa dal web


Un altro caratteristico evento si svolge nel fine settimana che precede il martedì grasso, quando in occasione del Carnevale è possibile vedere sfilare tra le strade cittadine una moltitudine di carri, alti fino a sei metri, realizzati dai mastri cartapestai.   



Nel pieno contesto della bassa collina frentana, dove le tradizioni sono ben radicate nel cuore delle persone così come gli ulivi alla terra, si inserisce dunque l’Azienda Agricola di Mariagrazia Giardino, cui lascio ora un po’ la parola:
“Fondai la mia azienda “Le grotte di tufo”  nel 2001. Avevo appena iniziato l’Università a Bologna quando la mia famiglia mi regalò il primo pezzetto di terra e poi via via tutti gli altri fino ad arrivare ai 27 ettari attuali. In precedenza questi terreni erano appartenuti a ricche famiglie del posto ma gli eredi, ormai emigrati in altre regioni d’Italia, li avevano dati in gestione ad affittuari locali.
L’azienda fu denominata “Le grotte di tufo” per la presenza di ben cinque grotte scavate nel tufo che servivano in passato come rifugio dalle bombe e poi come ricovero per gli animali; attualmente sono state ristrutturate e serviranno come contenitore per incontri ed eventi in azienda.
Ho sempre avuto un attaccamento viscerale verso la natura e gli animali: convinta ecologista e vegetariana, è stata per me una scelta di vita quella di andare a vivere in campagna, dove i ritmi sono lenti, dove non si sente altro che il cinguettio degli uccellini, dove si respira aria sana e si mangiano cose genuine.
Nel 2012 sposo Simone e con lui finalmente si iniziano a mettere le basi per quello che oggi è il nostro progetto: convertire l’azienda al biologico, offrire un prodotto di qualità che attualmente è il nostro olio DOP Gentile di Larino e cercare di fare della pubblicità ad un prodotto sano e genuino, convinti che la qualità delle materie prime sia alla base di una corretta e sana alimentazione. Per il futuro punteremo sulla costituzione di impianti nuovi di oliveto e sulla costruzione di un frantoio aziendale, sulla coltivazione di cereali antichi e (perché no?) su una fattoria didattica e su eventi di agricoltura a carattere sociale.”



Abbiamo avuto, quindi, la possibilità di assaggiare il suo buonissimo olio, ottenuto dalla cultivar Gentile di Larino in questa zona incontaminata del Molise, dove alla prevalente coltivazione dell’ulivo si intervallano campi di cereali, orti familiari e boschi.



Si presenta in veste dorata con una lieve venatura verdolina, con profumi intensi, una buona struttura al gusto e un sapore finemente amarognolo… abbiamo apprezzato il Larinolio sia in assoluto sia su bruschette con pomodorino fresco, nonché come ingrediente di un primo piatto sapientemente elaborato da Raffaela Verde, chef resident dell’Enopanetteria “I Sapori della Tradizione”.



Ad accompagnare il cibo abbiamo trovato i vini di Masciarelli, una tra le più prestigiose cantine abruzzesi… vini che mi hanno confermato un’ipotesi: ossia, che la serietà e la qualità con cui opera una grande cantina si riflette nella bontà della sua linea base.



Un plauso, dunque, al lavoro di questa giovane produttrice molisana… che, con il suo olio, ha portato ieri sera nella provincia partenopea i profumi e i sapori di un angolo di paradiso.



Azienda Agricola “Le grotte di tufo” di Mariagrazia Giardino
C.da Colle S. Pietro – Cuparello – 86035
Larino (CB), Molise
tel. 3393134415


Potete trovare le foto della serata sulla pagina facebook degli Enodegustatori Campani.

Grazie e alla prossima!





lunedì 3 ottobre 2016

L'Aleatico riassunto in 7 punti



 

1. Vitigno aromatico a bacca rossa, la cui antica origine è dibattuta, l'Aleatico forse fu introdotto in Italia dai coloni greci; a sostegno di quest'ipotesi il fatto che un tempo era conosciuto come Liatico, nome che richiama quello del vitigno greco Liatiko, che presenta però caratteristiche differenti.

 

2. Studi genetici hanno dimostrato un legame di parentela tra l'Aleatico e il Moscato Bianco, dal quale ha ereditato l'inconfondibile aromaticità; secondo alcuni si tratterebbe, infatti, di una mutazione del Moscatello Nero.

 

3. L'Aleatico non ha un'alta produttività, presenta un germogliamento precoce e risulta sensibile alle primavere umide (durante le quali è soggetto al fenomeno dell'acinellatura); negli ultimi decenni si è assistito nei vigneti ad una notevole riduzione della superficie occupata da questo vitigno che, dal grappolo piccolo e alato, mostra acini di media grandezza e dalla buccia spessa e molto pruinosa. La maturazione avviene in periodi variabili a seconda della localizzazione geografica: in Toscana cade nell'ultima decade di settembre, mentre in Puglia si anticipa tra la fine di agosto e la prima metà di settembre.

 

4. Utilizzato in passato come uva da tavola, l'Aleatico è diventato famoso per la produzione di vini passiti; di norma le sue uve sono raccolte a maturazione non troppo avanzata e fatte poi appassire tradizionalmente su graticci o in appositi locali coperti e ventilati.

 

5. Diffuso soprattutto in Toscana, dove dà vita alla DOCG Elba Aleatico Passito, questo vitigno è coltivato anche in altre regioni dell'Italia centromeridionale, tra cui il Lazio, dove lo troviamo in purezza nella DOC Aleatico di Gradoli, ed in Puglia, dove è previsto nelle denominazioni Salice Salentino e Gioia del Colle; in Corsica è utilizzato insieme al Grenache per la preparazione del "Rappu", vino alcolico e strutturato usato come aperitivo, ottenuto dalla pigiatura di uve appassite il cui mosto è fatto poi fermentare in presenza dei raspi.

 

6. Da uve, sia fresche sia appassite, vinificate in purezza si ottiene un vino rosso rubino dai leggeri riflessi violacei, molto aromatico e fine, con sentori di violetta, frutta rossa e confettura, cui seguono note speziate con l'affinamento; al gusto risulta intenso e morbido, con sensazioni pseudocaloriche importanti e ritorni di ciliegia sotto spirito, frutta secca e confettura di prugna.

 

7. Il passito da uve Aleatico può essere apprezzato come vino da conversazione o come vino da dessert, per accompagnare la pasticceria secca, dolci al cioccolato e crostate di frutta; consigliato anche abbinamento con formaggi erborinati.




Se hai trovato questo post interessante... dà un'occhiata al mio ebook "Nozioni su vini, vitigni e zone vititvinicole d'Italia".
 
 
 
 
 
 
 
 
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...