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Esistono
diversi trattamenti del mosto che
permettono di mantenere o esaltare alcune sue caratteristiche, rendendolo più
limpido e stabile:
- chiarificazione,
per evitare torbidità;
- filtrazione
e centrifugazione,
per ottenere maggiore limpidezza;
- pastorizzazione,
per eliminare microrganismi indesiderati;
- termocondizionamento.
La
“chiarificazione” è ottenuta con l’addizione di sostanze chiarificanti
(gelatina, caseina, gel di silice) ed è favorita dal raffreddamento, ottenuto
mantenendo il mosto in serbatoi coibentati, a doppia parete, all’interno della
quale circola una soluzione refrigerante; le basse temperature (6-10°)
diminuiscono infatti la solubilità delle particelle solide e ne provocano la
flocculazione e la precipitazione; si parla di “decantazione” quando questo
processo avviene senza ausilio di sostanze chiarificanti.
Il trattamento più complesso è l’utilizzo di anidride solforosa (SO2) la quale:
- inibisce l’azione dei lieviti selvaggi e dei batteri, impedendo
al vino di diventare aceto;
- ha proprietà antiossidanti e antiossidasiche;
- favorisce la chiarificazione del mosto facendo precipitare le
fecce;
- favorisce la solubilizzazione di molte sostanze presenti nelle
bucce;
A dosi elevate si ottiene il “mosto muto” (infermentescibile),
perché i lieviti sono inibiti e quindi il mosto non ribolle più.
Vengono
talvolta effettuate correzioni del mosto
per supportare eventuali carenze.
Per
la correzione del grado zuccherino,
in quanto la legislazione italiana vieta l’aggiunta di zucchero (saccarosio),
si ricorre per aumentarlo a tagli con mosti più ricchi di zucchero o
all’addizione di mosto muto; nelle produzioni di qualità si utilizza il “mosto
concentrato e rettificato” (MCR), ottenuto con la parziale evaporazione
dell’acqua sottovuoto seguita da una successiva rettificazione, che non varia
il profilo sensoriale del mosto al quale viene addizionato; l’eventuale
riduzione del grado zuccherino si esegue attraverso tagli con mosti meno ricchi
di zuccheri.
Per
la correzione del grado di acidità,
si ricorre all’addizione di acido tartarico per elevarla e all’addizione di
sali (carbonato di calcio, tartrato
neutro, bicarbonato di potassio) per ridurla.
Per
modificare colore, quantità di tannini e di estratti si ricorre a tagli con
altri mosti o all’adozione di tecniche di concentrazione ed osmosi inversa.
Con
l’osmosi inversa, resa possibile grazie all’applicazione di una particolare
pressione sul mosto, molecole d’acqua in esso contenute passano attraverso la
membrana semipermeabile nell’altra parte del contenitore dove c’è l’acqua; il
mosto quindi risulterà più concentrato, ma non modificato sotto il profilo
organolettico.
Con
i “concentratori con evaporatore a freddo sottovuoto spinto” si determina
un’evaporazione (per depressione spinta) di acqua pura, a una temperatura mai
superiore ai 22-24°C.
Si
utilizzano anche "tannini enologici" (esogeni) per rinforzare
l'azione naturale dei tannini del vino (endogeni).
E dopo tutti questi trattamenti e correzioni si può ancora chiamare vino?
RispondiElimina"Per i prodotti di qualità si usa il MCR" mi pare una stronzata megagalattica!
La legislazione in materia, più che assicurare la qualità, pare assicurare il portafoglio di produttori che non si fanno scrupoli a mettere in bottiglia una ricetta piu che del mosto d'uva rifermentato. Ho già studiato e imparato anch'io da tempo quello che hai scritto, ma ogni volta che lo rileggo mi si accappona la pelle.
Vale la pena tutta questa chimica per scongiurare qualche profumo forte?
Spero che prima o poi qualcuno riveda tutta questa robaccia.
Ciao.
Ciao Daniele, mi fa piacere questo tuo intervento... già Mario Soldati negli anni '60 lamentava la legislazione enoica italiana e queste "pratiche di cantina" ma, purtroppo, nel nostro "Bel Paese" i cambiamenti sostanziali sembrano aver tempi ben più lunghi rispetto, ad esempio, a quelli per la nascita di nuove DOC.
EliminaChissà perché...